Paolo Del Bene, una vita per lo sport: “Mi ha insegnato tanto, farà lo stesso coi nostri studenti”
Prima giocatore, poi allenatore e infine dirigente: la carriera di Paolo Del Bene lo ha visto cambiare panni, ruoli e mansioni. Una cosa, però, è rimasta costante ed è l’amore per lo sport, sentimento che da sempre anima l’attuale Direttore dell’AS Luiss. Le sue parole trasudano passione e quest’ultima alimenta una visione: rendere la pratica sportiva un elemento cruciale del progetto formativo accademico. Un disegno destinato a compiersi, grazie al suo entusiasmo e al sostegno ricevuto dai vertici universitari.
Direttore, questa intervista vuole essere un viaggio attraverso presente, passato e futuro dell’AS Luiss. Andando in ordine cronologico, quali sono stati i momenti chiave della storia della polisportiva?
Il primo momento chiave risale a quando, nel gennaio del 1998, presentammo il progetto alla Luiss e all’allora presidente dell’Università Luigi Abete. Partimmo con una squadra di pallacanestro, che ufficialmente si affiliò alla FederBasket nel 1999. Fu la prima dell’allora Società Sportiva Luiss. Poi nacquero la pallavolo femminile e il calcio, fino ad arrivare ai dodici sport e ai sedici gruppi sportivi agonistici attuali. Il secondo momento da sottolineare è la nascita della Luiss Sport Academy: nel 2016 abbiamo sviluppato la visione più ampia che ci aveva animato 20 anni prima. Riuscimmo a essere pionieri allora e lo siamo ancora oggi, trattando lo sport all’interno dell’Ateneo sul modello dei college americani e anglosassoni. Crediamo al suo valore nell’attività formativa: insegnerà molto ai nostri studenti.
Riguardo al presente, invece, ci racconta come si evolve il progetto Luiss Sport Lab e gli eventi che hanno visto gli atleti dell’AS Luiss impegnati in Cina?
Lo Sport Lab è un progetto innovativo e stimolante che ci dà grandi soddisfazioni. Stiamo allineando i test morfo-funzionali, abbiamo la partecipazione di grandi aziende come Oracle, Captiks e soprattutto Microgate, che operano nel settore tecnologico e sportivo.
Pensando al futuro, tra un anno prenderà il via Tokyo 2020. Alla manifestazione parteciperanno diversi Top Athletes: che emozione suscita l’idea che così nostri studenti Luiss competeranno per una medaglia olimpica?
Un’emozione profonda, la stessa che si prova quando si vince un trofeo importante. Il nostro “trofeo” è stato il progetto Luiss Sport Academy, lanciato dal professor Pessi e avallato dal presidente Abete, dal Direttore Generale Lo Storto, dal vicepresidente esecutivo Serra, dal rettore Prencipe e dal vicepresidente Severino. Quando si gestiscono progetti del genere è fondamentale l’appoggio incondizionato dei vertici. Ci dà grande soddisfazione aver coinvolto 28 Top Athletes e sapere che almeno 10 dei nostri studenti-atleti si stanno guadagnando la wild card per Tokyo 2020. Dobbiamo, però, pensare anche a quello che altre importanti università hanno fatto. È vero che abbiamo secoli di svantaggiato, ma Oxford negli anni ha collezionato 167 medaglie olimpiche. Questo la dice lunga sui risultati che la Dual Career ha raggiunto in Europa, oltre che negli Stati Uniti con la NCAA (National Collegiate Athletic Association, ndr). Noi siamo stati antesignani in Italia.
Direttore, adesso una domanda più personale: cosa rappresenta per lei lo sport?
Lo sport rappresenta valore, orgoglio, appartenenza e soprattutto un modus vivendi che permette di arrivare all’obiettivo senza sentire la fatica. Tutto questo sto cercando di trasmetterlo ai nostri collaboratori, così come ai vertici Luiss. Devo dire che non ce n’è bisogno perché le persone che ho citato in precedenza – a partire dal vicepresidente esecutivo che è un grande tennista – sono innamorate dell’attività sportiva. Aiutandoci e sostenendoci, possiamo toglierci delle belle soddisfazioni, non solo in termini di vittorie e medaglie ma nel conferire valore al benessere psicofisico. Con il Lab vediamo la grande partecipazione di chi non praticava attività sportiva e, grazie ai nostri corsi ed eventi, capisce come il movimento permetta di fare del bene al proprio organismo.
Lei è stato giocatore, allenatore, dirigente. Quali sono gli insegnamenti che lo sport le ha trasmesso nei diversi ruoli che ha ricoperto? C’è qualche aneddoto che le viene in mente e che ha voglia di raccontare?
Tutto è iniziato quando Paolo di Fonzo mi ha portato al Banco di Roma. Da allora, lo sport mi ha dato tantissimo. Sicuramente il più grande valore che il basket mi ha insegnato è stata la resilienza, ovvero la capacità di non mollare mai. Anche perché finita una partita bisogna subito pensare alla successiva. Applicando questo principio sportivo al mondo del lavoro, ogni giorno bisogna dare il massimo per migliorare. Nella mia carriera da giocatore sono stati importanti i grandi cestisti che ho conosciuto: Larry Wrigth, Phil Hicks, Kim Hughes, Bob Morse. Da allenatore, invece, episodi significativi ce ne sono stati tanti. Ricorderò sempre Greg Ballard, campione in Italia con Pesaro e in America con Washington, che era il primo a pulire il parquet appena cadeva una goccia di sudore. Un esempio dell’umiltà che caratterizza i grandissimi giocatori: se non si è umili, non si arriva da nessuna parte.