La paura di vincere è un paradosso, un controsenso…

  • 15 febbraio 2018

“Ho assistito durante il G.P.G. di Rimini a molti incontri dove ho potuto notare l’evidente situazione che gli psicologi chiamano “la paura di vincere”.

Bisogna premettere che stiamo parlando di atleti ancora molto giovani, dove i più grandi hanno non più di 14 anni, e quindi il carattere, l’esperienza e la stabilità emotiva non possono essere così radicate come ci si può aspettare in atleti più grandi.

Questa situazione di instabilità emotiva è spesso controbilanciata dalla presenza a bordo pedana dei Maestri accompagnatori che oltre ai consigli ed agli aspetti tecnici infondono nei loro allievi, solo in virtù della loro presenza, quella pseudo stabilità emotiva che spesso non trovano, in certi momenti, in se stessi.

Per rendersi conto di tutto ciò basta fissare negli occhi alcuni dei giovani atleti quando, prima degli incontri, scrutano la sala alla ricerca del loro maestro ancora lontano dalla pedana.

Ma tutto ciò non sempre basta.

La paura di vincere è lì, in agguato, nelle pieghe del loro cervello.

Ho visto perdere incontri già vinti tra la gioia dei parenti degli avversari e lo sgomento degli interessati. Ho visto maestri a bordo pedana, con le mani nei capelli, senza spiegarsi l’inaspettato ed improvviso scarso rendimento del loro allievo.

Ad aumentare lo stress della paura di vincere si sommano le frequenti ed inutili contestazioni che i maestri rivolgono verso i giudici.

Ho potuto notare che queste interruzioni, che ovviamente non sortiscono mai niente di utile, danneggiano gravemente la concentrazione di molti giovani atleti che a seguito di ciò spesso non riescono a ritrovare il loro ritmo di gara.

Come espresso da Giacomo Paleni la paura di perdere si riscontra in tutti gli atleti di basso e di alto livello: è il sentimento predominante, prima e durante l’incontro.

Ma la paura di vincere è un paradosso, un controsenso: lo scopo dello sport agonistico è soprattutto vincere.

Allora perché molti atleti, quando sono ad un passo dal poterlo fare, innescano un meccanismo inconscio per non vincere?

La paura di vincere, razionalmente, non si giustifica: eppure esiste. Addirittura possiamo indicare in una percentuale che va dal 20 al 30% il numero di atleti che, in maniera più o meno evidente, ne soffre.

COME SI MANIFESTA

Appena l’atleta pensa di poter vincere, la paura lo attanaglia e non può più vincere.

Può vincere solo se non si rende conto o non si accorge che sta vincendo.

Spesso assistiamo ad ottime prestazioni nei gironi, con sequenze di brillanti vittorie a mani basse, nella consapevolezza dell’atleta che un singolo incontro lo si può pure perdere senza pregiudicare gravemente la seconda parte della gara e poi vederlo perdere al primo o al secondo incontro diretto, molto spesso condotto in vantaggio fino ad un certo punto, fino a che la paura di vincere non blocca i nostri giovani atleti.

ALCUNE SPIEGAZIONI POSSIBILI DEL FENOMENO:

1) Una spiegazione di tipo freudiano ci viene da alcuni famosi psicologi dello sport (Antonelli).

Per vincere bisogna avere una certa dose di aggressività ma, se l’atleta è cresciuto in un clima che proibiva l’aggressività e soprattutto se uno dei genitori ha sempre frustrato ogni atteggiamento aggressivo nell’atleta bambino, è probabile che l’atleta, divenuto adulto (ma a livello inconscio si è sempre bambini atterriti dall’autorità paterna), senta una propria affermazione agonistica come una disubbidienza, proprio a causa di quell’aggressività che dovrebbe tirare fuori.

Il vincere verrebbe a coincidere con il disubbidire e rappresenterebbe per il (padre-madre) una colpa.

2) L’atleta sembra grande al maestro, ai tecnici ma in realtà lui non si percepisce come tale, vive nell’illusione che la grande performance arriverà, ma vuoi per una scusa, vuoi per un’altra, rinvia sempre il grande momento. L’ora del grande incontro vinto avrebbe il sapore dell’ora della verità: ma se poi si fallisse? Meglio guadagnare tempo e rimandare.

Intanto il tempo passa e la grande speranza resta tale per tutta la vita.

3) È il caso dell’atleta che contro ogni previsione ottiene un grande successo che meraviglia tutti, lui per primo. Dopo la grande affermazione si chiude in se stesso, non vuole più mettersi alla prova per paura di deludere se stesso e gli altri. Gli avversari saranno sempre troppo forti, insuperabili.

La paura di vincere, quindi, vista come la paura di dover in seguito riconfermare le proprie capacità di vittoria verso i propri maestri e verso i propri genitori, di solito ciò capita con più frequenza proprio in quegli atleti che hanno la possibilità di vincere ma che non hanno ancora la consapevolezza delle loro capacità.

La figura del maestro, in questi casi, è fondamentale nell’infondere negli allievi la tranquillità della vittoria o della sconfitta, nell’infondere la consapevolezza delle proprie capacità e soprattutto nel non penalizzare le sconfitte con disappunto o tanto meno colpevolizzando l’allievo stesso.

La “paura di vincere”, questo aspetto della vita di un atleta, è importante e fondamentale come la tecnica e l’allenamento fisico, dovrebbe essere uno dei punti nodali su cui lavorare affinché le capacità dei nostri atleti possano estrinsecarsi appieno”.

Articolo a cura di Sergio Brusca